venerdì, aprile 28, 2006

Il ponte poco "stretto"

Fonte: http://eddyburg.it/article/view/6483/

La Società Stretto di Messina ha firmato il contratto con Impregilo S.p.A. per l’affidamento a Contraente Generale della progettazione definitiva, esecutiva e della realizzazione del Ponte tra Calabria e Sicilia. Questo rappresenta un grave affronto alle procedure di infrazione avviate dalla Comunità Europea ed ai procedimenti da parte della magistratura sull’infiltrazione mafiosa negli appalti e le presunte violazioni amministrative nel corso dell’iter concorsuale. La gara di appalto è stata caratterizzata da una serie di gravi anomalie: l’inserimento di clausole contrattuali che prevedono una penale stratosferica in caso di recesso da parte dello Stato (il 10 per cento dell'importo totale, cioè 388 milioni, più le spese già affrontate dal General Contractor) dopo la definitiva approvazione dell'opera; l'improvvisa defezione dei grandi gruppi esteri proprio alla vigilia dell'apertura delle buste; l'ingiustificato ribasso del 12,33% praticato dalla cordata guidata da Impregilo che tradotto in cifre vuol dire 500 milioni di euro e cioè 1000 miliardi di lire, su una base d'asta di circa 4 miliardi di euro.

Ancora più grave, la fitta rete di conflitti d'interesse sviluppatasi tra società concessionaria, aziende in gara per il General Contractor e i rispettivi gruppi azionari di riferimento.

Nella speciale commissione giudicatrice istituita dalla Società Stretto di Messina che ha assegnato l'appalto ad Impregilo, ha partecipato l'ingegnere danese Niels J. Gimsing.

Oltre ad essere stato membro (dal 1986-93) della commissione internazionale di valutazione del progetto di massima del Ponte, Gimsing ha lavorato nella realizzazione dello Storbelt East Bridge, progettato dalla società di consulenza Cowi di Copenaghen a cui il raggruppamento temporaneo d'imprese guidato da Impregilo ha affidato l'elaborazione progettuale del Ponte sullo Stretto.

Alberto Lina, amministratore delegato di Impregilo, è stato dal 1995 al 1998 presidente di Coinfra, la società dell'IRI che ha partecipato come fornitore alla realizzazione del ponte Storebelt insieme a Cowi, e quindi ha collaborato con l'ing. Niels Gimsing.

Se poi si passa alla lettura del curriculum vitae di alcuni membri del consiglio di amministrazione della Stretto di Messina si scorge più di un feeling con il colosso delle costruzioni di Sesto San Giovanni.

Nell’aprile del 2005, è stato nominato quale membro del CdA della concessionaria del Ponte il dottor Francesco Paolo Mattioli, ex manager Fiat e Cogefar-Impresit (oggi Impregilo), consulente della holding di Torino e responsabile del progetto per le linee ad alta velocità ferroviaria Firenze-Bologna e Torino-Milano di cui Impregilo ricopre il ruolo di General Contractor.

Il 22 febbraio 1993 Francesco Paolo Mattioli fu arrestato su ordine della Procura di Torino interessata a svelare i segreti dei conti esteri della Fiat, dove risultavano parcheggiati 38 miliardi di vecchie lire destinati a tangenti. Nel maggio ‘99 arrivò per Mattioli la condanna a un mese di reclusione, pena confermata in appello e infine annullata in Cassazione per “sopravvenuta prescrizione del reato”.

Nel consiglio di amministrazione della Stretto di Messina siede pure il Preside della facoltà di Giurisprudenza dell'Università "La Sapienza" di Roma, prof. Carlo Angelici. Angelici è pure consigliere della Pirelli & C. e di Telecom Italia Mobile (TIM), società controllate dalla famiglia Benetton, che è tra i maggiori azionisti di Impregilo.

Edizioni Holding della famiglia Benetton, attraverso Schemaventotto, detiene anche il 51 % della Società Italiana per Azioni il Traforo del Monte Bianco, gestore della parte italiana. Di questa società è consigliere un altro membro "riconfermato" del Cda della Stretto di Messina, il direttore generale ANAS Francesco Sabato.

Come se non bastasse l’"anomalia" della presenza di più di un consigliere della Stretto di Messina nelle società controllate dai signori del Ponte, va rilevato che sindaco effettivo di Autostrade-Benetton è la riconfermata sindaco effettivo della Stretto di Messina, dottoressa Gaetana Celico.

Presenze ingombranti anche all’interno di Società Italiana per Condotte d’Acqua, altro partecipante alla cordata General Contractor del Ponte sullo Stretto. Condotte d'Acqua è controllata per il 98,85% dalla società Fedina S.p.A., holding finanziaria di partecipazione. Ebbene, nei consigli di amministrazione di Fedina e di Condotte Immobiliare (la immobiliare di Condotte d'Acqua) compare uno dei membri – sino al giugno 2005 – del Cda della Società Stretto di Messina, il professore Emmanuele Emanuele, voluto dalla Regione Calabria. Emanuele, di Fedina, è persino vicepresidente. E' anche presidente della Fondazione Cassa di Risparmio di Roma, una dei maggiori azionisti, insieme all'olandese ABN Amro, del gruppo bancario Capitalia, azionista di Impregilo e della finanziaria Gemina (secondo gruppo azionario della società di costruzioni di Sesto San Giovanni). Capitalia controlla pure un rilevante pacchetto azionario di Astaldi, la società "concorrente" nella gara per il General Contractor del Ponte sullo Stretto. Presidente del Cda di Astaldi è il professore Ernesto Monti, docente di Finanza aziendale presso la Facoltà di Economia della Luiss. Monti è consigliere di amministrazione di Fintecna, la finanziaria statale principale socio di riferimento della Stretto di Messina S.p.A..

Tra i più stridenti conflitti d'interesse, c'è quello legato alla partecipazione delle coop "rosse" – su schieramenti contrapposti, la C.G.C. Consorzio Cooperative Costruzioni di Bologna (in associazione con Astaldi) e la C.M.C. Cooperativa Muratori & Cementisti di Ravenna (con Impregilo). Con 1"anomalia", che proprio la CMC di Ravenna risulta essere una delle 240 associate della cooperativa “madre”, CCC di Bologna.

Ciò avrebbe comportato la violazione delle normative europee e italiane in materia di appalti pubblici, le quali escludono espressamente la partecipazione ad una gara di imprese che "si trovino fra di loro in una delle situazioni di controllo".

L'ipotesi di violazione di queste norme da parte delle due coop durante la prequalifica alla gara per il Ponte è stato sollevato da Terrelibere.org, WWF Italia e dalla parlamentare Anna Donati. Il WWF, in particolare, è ricorso davanti all'Autorità per i Lavori Pubblici e alla Commissione Europea per chiederne l'annullamento.

Intanto, anche al fine di denunciare la scarsa trasparenza dell'affaire, ha preso il via la campagna nazionale "Boicotta il ponte”. Basta compilare, firmare e inoltrare una lettera-diffida (il modulo è disponibile on line sul sito www.retenoponte.org) alle banche e assicurazioni che controllano i pacchetti azionari delle società di costruzioni italiane facenti parte della cordata Generai Contractor o che hanno espresso la disponibilità a finanziare la realizzazione della megaopera. Al bando, dunque, i prodotti Benetton - da quelli tessili a alla catena di ristorazione Autogrill - e pure i gruppi BPM-Banca Popolare di Milano, Capitalia, Banca Intesa, Monte dei paschi di Siena, Unicredit, Efibanca-Banca Popolare Italiana, Unipol Bank, Carige e Assicurazioni Generali.

giovedì, aprile 27, 2006

Sapete cos'è la legge Pecorella?

Fonte : http://www.unita.it/index.asp?SEZIONE_COD=HP&TOPIC_TIPO=&TOPIC_ID=48957

Sme, Berlusconi salvato dalla sua legge: non ci sarà il processo d'appello
di red

 Non ci sarà il processo d'appello a Silvio Berlusconi accusato di corruzione giudiziaria nell'ambito della vicenda Sme. E questo grazie alla legge ad personam fatta durante l'ultima legislatura: la legge sull'inappellabilità delle sentenze di primo grado scritta dall'avvocato del premier e deputato di Forza Italia Gaetano Pecorella.

I giudici della II sezione della Corte d'appello di Milano hanno ricettato l'eccezione di costituzionalità propiro in merito alla legge proposta dalla Procura generale della Repubblica di Milano. I giudici della Corte d'appello hanno anche rigettato le richieste della difesa di Berlusconi che chiedeva di considerare inammissibile il ricorso della Procura generale.

Questo significa la fine del processo Sme per Berlusconi : il secondo grado era stato fissato dalla Corte d’appello dopo le elezioni del 9-10 aprile ma adesso non si potrà fare. L'accusa potrà proporre ricorso solo per Cassazione.

Che la legge Pecorella (approvata nel febbraio scorso dopo essere stata rinviata al Parlamento dal presidente della Repubblica per «manifesta incostituzionalità» di alcuni suoi punti) fosse stata scritta su misura per il premier era sempre stato uno dei punti di maggiore critica da parte del centrosinistra. Ma anche l'Associazione nazionale magistrati ha criticato la legge, sostenendo che porterà a un incremento smisurato di ricorsi alla Cassazione.

E lo stesso Berlusconi aveva ammesso che quella legge riguardava lui e un «processino» che aveva in corso a Milano. Quello che è certo è che, per il momento, la storia di quel processo finisce qui. Infatti Berlusconi è stato assolto il 10 dicembre 2004 con formule diverse in primo grado nel processo Sme, in cui gli si contestava la presunta corruzione sistematica dell'ex capo dei gip romani Renato Squillante e la presunta corruzione dello stesso Squillante (più altri magistrati romani) per ottenere sentenze favorevoli nella contesta legale con la Cir di Carlo De Benedetti per l'acquisizione del gruppo agroalimentare pubblico Sme dall'Iri a partire dalla metà degli anni 80. In particolare il premier uscente è stato assolto dall’accusa di aver corrotto nel 1988 il giudice Filippo Verde per ostacolare la Cir ed è stato prosciolto perché il reato nel frattempo è divenuto prescritto (grazie alle attenuanti generiche accordate al Cavaliere) per la corruzione nel 1991 di 434 mila dollari a Renato Squillante.

La sentenza era stata impugnata dalla procura perché le attenuanti accordate a Berlusconi erano state invece negate al coimputato Cesare Previti, condannato a 5 anni.

I figli degli operai

Fonte: http://www.eddyburg.it/article/articleview/6347/0/199/

I figli degli operai
Data di pubblicazione: 08.04.2006

Autore:

Domani noi elettori abbiamo la possibilità non solo di cambiare governo e Parlamento, ma assieme di salvare la Costituzione. Da La Repubblica, 8 aprile 2006 (m.p.g.)

Quando l´attuale presidente del Consiglio, davanti a 12 milioni di testimoni, ha condannato la pretesa della sinistra di «rendere uguale il figlio del professionista al figlio dell´operaio», egli è andato al fondo delle cose. Come in un testamento, ci lascia una straordinaria sintesi del senso della lunga rissa scatenata contro la Costituzione dalla sua coalizione di estremisti. Perché qui, in quella condanna – mai udita in questo Paese da quando si cominciò a costruire lo Stato unitario (e neppure, perfino, in regime fascista) – c´è la rivelazione del «programma». Un programma che non ha nulla a che fare con il liberismo fiscale e neppure con la devolution e le altre slegature dell´organizzazione della Repubblica racchiuse nel container in attesa di referendum costituzionale.
È un programma che va oltre perché è un piano di rottura dell´idea stessa di «repubblica», idea che trova svolgimento nei principi fondamentali scritti nella Costituzione. Principi valoriali che, però, non sono stati creati dalla Costituzione ma da essa sono «riconosciuti» e codificati. «Scritti» così come erano stati vissuti nella storia degli italiani, nella narrazione delle loro origini.
Quella rottura si consuma perciò con la chiarezza di una epifania quando per bocca del premier, si dice l´esatto contrario di quello che nella Costituzione è scritto all´articolo 3: «è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana»...
A un programma costituzionale di progressiva eliminazione delle disuguaglianze – anche, com´è ovvio, con misure fiscali di equità – si contrappone, dunque, un concetto di pietrificazione sociale, di «stabilizzazione» classista. E si capisce subito come questo concetto si scontri frontalmente con il criterio costituzionale della progressività dell´imposta (art. 53). Dice questo criterio che tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche, tenendo conto delle loro risorse, della loro capacità contributiva. Dice anche che i redditi dei contribuenti non possono sopportare spettacolari differenziazioni – come quelle ora esistenti nel nostro sistema fiscale – in ragione della diversità della loro fonte.

Ma vi è di più: quel concetto berlusconista va anche contro il programma di cittadinanza piena e inclusiva che la Costituzione disegna quando «riconosce» (ancora questo verbo: carico di storia e di umiltà statale) e «promuove» le autonomie locali, garantendo ad esse l´integrale finanziamento delle funzioni pubbliche loro attribuite (artt. 5 e 119). Le autonomie locali, dunque. Come indicazione preferenziale delle comunità di vita e di destino, in cui meglio si conosce, per i lunghi secoli della straordinaria storia comunale italiana, la geografia sociale dei bisogni e delle fragilità delle città e dei cittadini. Togliere, dopo cinque anni di strette finanziarie, ancora soldi a questa Italia profonda, mettere con il taglio delle imposte locali (ICI, rifiuti...) le mani in tasca ai comuni, significa rendere ancora più netta e profonda – sopprimendo servizi pubblici – la frattura sociale di questi ultimi tempi: con i ricchi più ricchi, i poveri più poveri e la classe media sempre più sullo scivolo.
Si capiscono, allora meglio certe espressioni di disprezzo per quegli «altri» che sostengono invece le regole di equità fiscale, di solidarietà, di coesione comunitaria. È la stessa contrapposizione che si trovava in un tempo (per fortuna) passato in certe repubbliche sud-americane. Dove gli «altri» – quelli che si opponevano a forme di Stato e di governo, dominate nei secoli dai caudillos espressi dai «beati possidenti» – erano chiamati semplicemente, «los rotos». Quelli che la nascita, la fortuna, la vita avrebbero semplicemente «rotto». E che, invece, erano, come spesso accadeva, l´anima vibrante, la cultura popolare di quegli Stati lontani.
Ma in quella stupefacente «confessione» di un premier precario risulta anche chiara una congiunzione anti-repubblicana. Da un lato, questo attacco al principio di uguaglianza che la Corte costituzionale, in una sentenza di 40 anni fa, ha propriamente indicato come il «principio che condiziona tutto l´ordinamento nella sua obiettiva struttura». Dall´altro lato, l´attacco, portato per una intera legislatura, alla struttura unitaria dell´organizzazione della Repubblica, ai suoi equilibri, alle sue garanzie, al suo stesso funzionamento: l´attacco che ha prodotto lo squallido disegno di eversione, la devolution Bossi-Calderoli, sotto giudizio referendario.

Questo ricongiungimento dei progetti anti-costituzionali fa anche toccare con mano la necessità di «unificare i processi» alla legislatura che è passata e al governo e alla maggioranza che ne sono stati responsabili. Non si possono tenere distinte, in questo clima, le poste in gioco nel gran risiko italiano. Domani e lunedì sono in ballo quattro scelte decisive: sul parlamento, sul governo, sul presidente della Repubblica, sulla Costituzione. Quattro scelte con un solo voto.
Si voterà infatti per un parlamento che per essere veramente nuovo, dovrà innanzitutto esprimere presidenti di assemblea capaci di ricucire la tradizione garantista interrotta dagli ultimi due. Che dovrà essere capace di esprimere un governo forte e stabile ma anche di controllarlo: perché il potere solitario, anche quando è un potere amico, si logora e si corrompe.
Si voterà poi per un governo che governi secondo l´interesse nazionale, bussola insuperabile nella normale dialettica di coalizione. Che riesca a ricomporre la frattura sociale e la frattura civile, apertesi nel Paese, e la frattura europea, apertasi nell´Unione (riassunta nell´appello-copertina dell´Economist che sta facendo il giro del mondo...).
Ma si voterà anche per un presidente della Repubblica che abbia il compito di continuare l´opera di pacificazione e di concordia nazionale tenacemente perseguita, malgrado tutto, senza dissipare un solo giorno del suo mandato, da Carlo A. Ciampi. Il parlamento che uscirà dalle urne imminenti sarà, infatti, quello stesso che, quindici giorni dopo, voterà per l´erede di Ciampi o per Berlusconi.
E si voterà anche per la Costituzione: perché la maggioranza parlamentare che verrà fuori, lunedì alle cinque della sera, avrà poi una fortissima capacità di trascinamento sul referendum di giugno. E quindi questo referendum costituzionale «si farà», anticipato nella sua intima sostanza, anche esso, domenica e lunedì.

Allora: un parlamento, un governo, un presidente della Repubblica, una Costituzione. Tutto si tiene in brevissimo spazio. Mai un voto sono decise tante cose incrociate per il destino nazionale.
Il 2 di giugno del 1946 nacque la Repubblica e si cominciò a scrivere la Costituzione come sua ragione di esistenza e insieme come programma per il suo futuro. 60 anni dopo, il 2 giugno 2006, rischiamo di avere, con un governo complice, una specie di nuova forsennata monarchia al Quirinale. E in più il rischio di una Costituzione «incostituzionale» perché fatta contro il nucleo dei principi e dei valori che da allora ne formano l´identità e le danno la carica propulsiva.
Nel vicino weekend degli Ulivi noi decideremo su tutto questo. E ci ricorderemo certo della parabola del «figlio dell´operaio» e del «figlio dell´ingegnere» raccontataci dal signor presidente del Consiglio.

Nanodemagogie

Perchè la cultura è il cammino della libertà...
E per non stare in silenzio ad osservare le verità distorte dai furfanti.